Guida dopo l’assunzione di droghe: il nuovo articolo 187 CdS sotto la lente della Corte Costituzionale
Con la riforma introdotta dalla Legge 177/2024, è stato modificato in modo significativo l’articolo 187 del Codice della Strada, che disciplina il reato di guida in stato di alterazione psico-fisica da stupefacenti. La nuova norma, però, ha subito attirato critiche e sollevato dubbi di legittimità costituzionale: una questione formale è già stata trasmessa alla Corte Costituzionale dal Tribunale di Siena con ordinanza del 18 aprile 2025.
Cosa è cambiato con la riforma del 2024
Il nuovo testo dell’art. 187, comma 1, punisce chiunque si metta alla guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope, a prescindere dalla presenza di uno stato di alterazione psicofisica. Questo è un passaggio fondamentale: non è più richiesto alcun collegamento tra la guida e l’effettivo effetto delle sostanze sull’organismo del conducente.
In altre parole, basta un test positivo (anche giorni dopo l’assunzione) per incorrere nelle sanzioni penali: ammenda da 1.500 a 6.000 euro e arresto da sei mesi a un anno. In caso di incidente, le pene sono raddoppiate.
Il problema: dov’è finita l’offensività della condotta?
Secondo il Tribunale di Siena, questa nuova configurazione della norma non rispetta i principi costituzionali, tra cui:
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Articolo 3 (principio di uguaglianza e ragionevolezza),
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Articolo 13 (libertà personale),
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Articolo 25, comma 2 (principio di legalità e tassatività della norma penale),
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Articolo 27 (principio della colpevolezza e finalità rieducativa della pena).
Il giudice toscano evidenzia come oggi si possa essere condannati anche se non si era realmente in uno stato di alterazione al momento della guida, rendendo quindi la condotta penalmente rilevante a prescindere da un reale pericolo per la sicurezza stradale.
Guida e droga: un reato “senza danno”?
Il cuore della critica ruota intorno a un principio chiave del diritto penale: l’offensività della condotta. Il nuovo articolo 187 punisce un comportamento astrattamente pericoloso senza valutare se, nel caso concreto, ci fosse davvero un rischio per l’incolumità pubblica.
Ciò porta a scenari paradossali: anche un conducente che ha assunto stupefacenti giorni prima, in modo occasionale e senza effetti residui, può essere perseguito penalmente solo per la mera presenza di tracce della sostanza nel sangue o nelle urine.
Un passo indietro rispetto alla giurisprudenza consolidata
Fino al 2024, la Cassazione aveva stabilito che per la punibilità era necessaria la prova di una reale alterazione psicofisica (tra le tante: Cass. n. 22682/2023, n. 5890/2023, n. 15078/2020). Il nuovo testo del Codice della Strada ha cancellato questo requisito, riducendo la prova dell’infrazione al semplice accertamento della positività.
Il legislatore ha voluto così superare le difficoltà probatorie che ostacolavano molte indagini e processi, ma a costo – secondo il giudice senese – di compromettere la coerenza costituzionale della norma stessa.
La questione alla Corte Costituzionale
Il giudice di Siena ha rimesso la norma alla Corte, ritenendo non più sostenibile una lettura costituzionalmente conforme. L’eliminazione del nesso tra assunzione e alterazione, sostiene l’ordinanza, trasforma la norma in un reato di pericolo astratto, fondato su presunzioni assolute e, pertanto, irragionevole e sproporzionato.
Inoltre, l’assenza di un effettivo danno o pericolo concreto rende difficile giustificare la sanzione penale in chiave rieducativa, come richiesto dall’art. 27 della Costituzione.
Cosa può cambiare per gli automobilisti
Se la Corte dovesse accogliere la questione di legittimità, potremmo assistere a una riformulazione dell’articolo 187 CdS o, in alternativa, a un ritorno al precedente impianto normativo, che richiedeva la dimostrazione dell’effettiva alterazione.
Nel frattempo, però, chiunque venga trovato positivo a droghe durante un controllo può essere indagato e processato, anche senza aver mostrato segni evidenti di alterazione.
Conclusioni
La modifica dell’art. 187 del Codice della Strada ha semplificato l’accertamento del reato, ma a costo di importanti dubbi di legittimità costituzionale. Il rischio è quello di criminalizzare condotte che non presentano un reale pericolo, andando contro i principi cardine del diritto penale italiano.
Lo sviluppo della questione davanti alla Corte Costituzionale sarà decisivo per capire se questa nuova impostazione potrà reggere oppure sarà necessario intervenire nuovamente sul piano legislativo.